Basta scollinare ed è un altro mondo. Sali con la macchina per tornanti tortuosi, con il mare sulla sinistra e rocce friabili, terra arida di ginestre e olivi, agavi e oleandri sulla destra. Sono i gabbiani al culmine della salita che spuntano dal margine della terra e restano sospesi in aria come sogni immobili a segnare il confine. Ed è tutto un altro mondo.
Gli azzurri si riconciliano, il mare solletica la sabbia grigia dell’arenile e le case, pitturate con discrezione di colori pastello, si riposano con i piedi nell’acqua tiepida.
Il lavoro e il tempo scandito dagli impegni sono alle spalle e ti precipiti a rotta di collo verso la vacanza perenne, fatta di olive da aperitivo, sguardi distratti a curve sensuali, occhi socchiusi rivolti ad un sole rigenerante.
Hai il golfo ai tuoi piedi, per tutta la sua estensione e i due moli, i torrioni saraceni, in fondo il promontorio che più di ogni altro si avventura nel mare come un’enorme chiglia di una nave protesa verso il largo, l’isola, firma di lusso per un paesaggio d’autore.
Aquilia arriva per ultima, dopo aver raggiunto la scogliera, nel punto in cui gli abitanti dei due paesi limitrofi fino a qualche decennio fa si prendevano a sassate per scoraggiare intrusioni sgradite nel proprio territorio. Dalla strada principale non si vede
granché e il viaggiatore ignaro può sfiorarla senza accorgersi di nulla.
Ma chi si avventura in uno dei suoi vicoli, alza la testa e vede il mare da una delle sue piazze magiche …
(Il medico di Aquilia, Giacinto Buscaglia, De Ferrari 2007)