Un’edizione tutta vissuta sul traguardo finale dove si presentarono in 18, in quanto selezionati dalla comunque grande andatura. Partiti in 111 e senza particolari note di cronaca, la corsa arrivò a vivere l’episodio “di selezione” sulla discesa del Testico, quando appunto in testa rimasero in diciotto che andarono a disputarsi il successo finale. Lo sprint fu lanciato da Cavalcanti (Bianchi), in una delle sue rare giornate di libertà, che partì deciso sorprendendo tutti gli avversari, fra i quali alcuni quotati velocisti. Una grave scorrettezza di De Vlaeminck (Brooklyn), fece però succedere il finimondo. Il belga si attaccò ai calzoncini di Bitossi (Zonca Santini) facendolo sbandare. A farne le spese fu Vicino (Furzi) che perse il controllo della bici e cadde agganciando la ruota posteriore di Cavalcanti, ancora in testa al gruppo. L’atleta romagnolo volò per aria e finì all’ospedale senza tagliare il traguardo. Anche a Vicino che il traguardo lo tagliò diverso secondi dopo, ci fu l’appendice ospedaliera. Per fortuna, nonostante il tremendo volo, entrambi se la cavarono con poco. De Vlaeminck e Bitossi che erano rimasti in piedi, affondarono il colpo di reni sulla linea quasi contemporaneamente. La spuntò il belga di un’inezia, ma il reclamo della Zonca Santini, fu accolto dalla giuria e Roger De Vlaeminck fu tolto dall’ordine, A tavolino il successo sancì il bis di Bitossi al Laigueglia.
Sul vincitore. Cuore matto, matto da… spiegare: Franco Bitossi e la Cuneo-Pinerolo ’64 di Lorenzo Cuomo e Carlo Ristori
Qualche giorno prima della disputa della 10a tappa del Giro, la Cuneo-Pinerolo, già disputata nel 1949, nel 1964 e nel 1982, abbiamo incontrato Franco Bitossi, vincitore solitario di quella del 1964 e, visto che quella del 1982 si risolse senza troppa battaglia in una volata tra i migliori vinta da Saronni, l’unico che possa fornirci in prima persona il resoconto di una impresa di altri tempi. Ci ha raggiunto in una simpatica trattoria alle Porte di Empoli, insieme al figlio Massimiliano. Il clima informale e un menu basato sui piatti forti della tradizione toscana, tra cui una notevole “Fiorentina”, hanno presto trasformato l’incontro, che programmaticamente già non voleva essere un’intervista classica, in una conversazione tra appassionati che, prendendo lo spunto dall’impresa del 1964, ha potuto anche ripercorrere gli aspetti principali di una carriera per molti versi strepitosa ed indimenticabile. Gentilissimo e disponibile, giovanile e dotato di una memoria quasi prodigiosa nei dettagli, Franco esordisce ricordando che, come noto, la sua attività soprattutto nei primi anni fu fortemente condizionata dal problema legato alla sua aritmia cardiaca: troppe volte si dovette fermare durante le corse, ed è intuibile che dare simili “vantaggi” ad avversari forti non sarà stata certo un’esperienza piacevole.
Caratteristica più psicologica che fisica, che generò il soprannome più conosciuto di “Cuore matto”: gli amici di lunga data amano ricordare invece quello di “Falena”, a lui dato probabilmente in virtù della sua leggerezza (e della sua capacità di involarsi…). Cominciamo quindi a discorrere col campione di Camaioni, un paesino sull’Arno, fra Montelupo e Signa, dove suo padre, purtroppo mancato recentemente all’età di 95 anni, faceva il traghettatore. Il Giro presenta per la quarta volta nella sua storia una tappa una tappa denominata Cuneo-Pinerolo: le variazioni di percorso hanno ormai reso improponibile un confronto tra quella di quest’anno e le edizioni “classiche”, come quella del 1964 da te vinta: ci vuoi comunque raccontare come andò quell’anno, e qualcosa sullo svolgimento di quel Giro? «In quell’anno al Giro ero al servizio di Nencini alla Springoil-Fuchs; avevo comunque già vinto la terza tappa a San Pellegrino, ma il ritiro del capitano mi lasciò libero, ed ebbi la possibilità di fare la mia corsa. Vinsi in successione le tappe di Livorno e di Santa Margherita, e giunsi secondo in quella di Alessandria, dopo aver ottenuto due secondi posti in tappe precedenti. La Cuneo-Pinerolo si svolgeva a due giorni dalla conclusione del Giro: devo dire che la tappa non iniziò molto bene per me. Ero stato male per i soliti problemi sulla Maddalena, ma già sul Vars mi ero ripreso, e passai terzo al Gran Premio della Montagna. Al rifornimento, posto tra il Vars e l’Izoard, mi arrabbiai parecchio perché qualcuno tentò di andarsene
approfittando del trambusto; allora andai loro dietro, li superai abbastanza facilmente e mi trovai da solo. L’ammiraglia, da me rassicurata, mi disse di continuare. C’è da dire che mancavano 155 Km all’arrivo! Mi sentivo bene e spingevo tranquillo un rapporto giusto, mentre la strada saliva dolcemente. C’erano altri dietro di me (tra gli immediati inseguitori anche Dancelli), ma perdevano invece di guadagnare. Scalai piuttosto bene il Monginevro, e ad un certo punto arrivai ad avere forse dieci minuti di vantaggio (ero quasi maglia rosa virtuale). Ma sul Sestrière… improvvisa arrivò una crisi di fame: mi sentivo veramente molto male. Dalla macchina, anche grazie ad alcuni parenti al seguito, mi rifocillarono con tè caldo e altri zuccheri. Il vantaggio nel frattempo calava vistosamente. Feci anche la discesa piuttosto in affanno, ma al termine, dalle parti di Villar Perosa, mi sentivo di nuovo bene. Nel frattempo mi erano rimasti soltanto due minuti di vantaggio sul gruppetto degli uomini di classifica. Ebbene, da quel momento in poi il vantaggio rimase praticamente invariato, ed arrivai fino a Pinerolo, dove vinsi con 1’58” sul gruppetto. Devo proprio dire che quel giorno andavo veramente forte!». Aggiungiamo che il giorno dopo andasti in fuga con Motta ed arrivasti di nuovo secondo. Un Giro
terminato con quattro vittorie di tappa e quattro secondi posti! (C’è da dire che in quegli anni non era prevista la classifica a punti, introdotta nel 1966; Bitossi stravinse comunque la classifica del Gran Premio della Montagna, ndr). Le grandi vittorie di quel Giro furono la tua consacrazione definitiva, ma non le tue prime vittorie; anzi, visto che ci è capitato di notare che alcuni annuari non la riportano, vale forse la pena ricordare che la tua prima (e fino al 1964 unica) vittoria da professionista risaliva all’autunno del 1961, solo pochi giorni dopo avere operato il salto di categoria… «Sì, ero passato professionista alla Philco il 4 ottobre di quell’anno; qualche giorno dopo si disputava una “Tre giorni del Sud”, gara a tappe con 6 semitappe: lì vinsi la prima semitappa del giorno di mezzo. Nei giorni seguenti mi ammalai e quindi non ebbi l’occasione di disputare il Giro di Lombardia; la stagione si chiuse lì. Nel 1962 rimasi alla Philco ad aiutare i capitani (Carlesi e Daems); l’aritmia non mi dava pace, e comunque non disputai il Giro. Nel 1963, chiusa la Philco, passai alla Springoil con Nencini; al Giro soffrivo terribilmente a causa dell’aritmia, e mi fermai praticamente in tutte le prime tappe. Comunque pian piano mi ripresi, vinsi qualche traguardo volante, ma in ogni caso dovevo rimanere accanto a Nencini. La miglior prestazione fu l’ottavo posto nella “Cavalcata dei Monti Pallidi”, e cioè la tappa da Belluno a Moena, che prevedeva nove salite e sei Gpm: battagliai con Taccone, che poi vinse la tappa e col quale ebbi qualche “incomprensione” quel giorno. A quel punto avevo ripreso fiducia nei miei mezzi fisici, e nella tappa successiva, la penultima di quel Giro, arrivai secondo dietro Carlesi». E a questo punto non possiamo fare a meno di chiederti, visti i numerosi piazzamenti tra i primi 10 al Giro (7° nel 1965 e nel 1970, 8° nel 1966, 9° nel 1968 e nel 1974, oltre al 10° del racconto del 1964, replicato nel 1969), se e quando hai mai pensato di fare “veramente” classifica al Giro. «Mah, forse l’occasione migliore, perlomeno di un podio, la ebbi nel 1966… Purtroppo incontrai una giornataccia nella Bolzano-Moena, dove persi cinque minuti. Anche nel 1965 sarei potuto arrivare più avanti in classifica, ma forse distribuii male le forze all’interno delle tre settimane di corsa, ed alla fine in diversi mi precedettero per pochi secondi, anche a causa del molto tempo perso nella tappa a cronometro». E nel 1970, quando indossasti la maglia rosa nelle prime sei tappe, c’era Merckx… «Eh, sì!…». Nei grandi Giri hai 16 partecipazioni consecutive al Giro d’Italia (dal 1963 al 1978), nessuna partecipazione
alla Vuelta, e due notevoli partecipazioni al Tour (1966 e 1968, con due vittorie di tappa in entrambi i casi). In molti dicono che il Tour del 1968 forse avresti potuto addirittura vincerlo… «Mah, il capitano inizialmente era Zilioli, ed eravamo in molti della Filotex (si correva per squadre nazionali). All’inizio non uscii mai dai primi 12 negli arrivi di praticamente tutte le tappe. Insomma stavo spendendo troppo, fra l’altro battagliavo con gli spagnoli per i GPM; non curavo particolarmente la classifica, anche se ero comunque sempre abbastanza ben messo. Nella 15esima tappa, che terminava ad Albi, Pingeon aveva vinto alla grande; il giorno dopo, nella Albi-Aurillac “toccava” ad Aimar (c’era una certa rivalità tra le Squadre francesi “A” e “B”, la prima con Pingeon e Poulidor, la seconda capitanata da Aimar, ndr). Nella nostra squadra i meglio piazzati in classifica erano Passuello e Schiavon (Zilioli si era nel frattempo ritirato), ma dopo l’attacco del francese rimasero indietro. Io invece mi ritrovai nel gruppo di testa, e sull’ultima salita rimanemmo in due: Wolfshohl prese la maglia ed io vinsi la tappa. A quel punto ero terzo in classifica generale, dopo il tedesco e lo spagnolo San Miguel. Due giorni dopo, nella tappa di Grenoble, di nuovo Pingeon all’attacco: il francese vinse la tappa con un’altra grande azione ed io forse commisi l’errore di volerlo seguire; se fossi rimasto almeno col gruppetto di Janssen e Van Springel avrei sicuramente indossato la maglia gialla al termine della tappa, visto che Wolfshohl era saltato e San Miguel alla fine avrebbe accusato un minuto circa da quel gruppetto. Invece ebbi una flessione e terminai la tappa a 5’45” da Pingeon. Che non fossi in crisi, nonostante tutte le energie profuse, lo dimostrai il
giorno dopo, quando attaccò Van Springel ed io fui l’unico a stare con lui, fino a batterlo sul traguardo di Cordon, dove comunque mi classificai secondo perché la giornata era stata caratterizzata da una fuga solitaria dell’inglese Hoban, fuggito con la scusa di fare un “bisognino” ed eclissatosi fino a raggiungere un vantaggio incolmabile. In definitiva, senza l’errore di Grenoble avrei potuto presentarmi alla cronometro finale in maglia gialla, e anche se le forze erano al lumicino, probabilmente con una motivazione diversa… (Franco finì quel Tour in 8.a posizione, a 4’59” da Janssen, dopo aver perso 4’17” nella cronometro finale, ndr)».
Possiamo quindi dire che non eri particolarmente adatto alle corse contro il tempo? «Per andare forte a cronometro ci vogliono caratteristiche fisiche e mentali particolari; in ogni caso mi è capitato di disputare piuttosto bene alcune cronometro, soprattutto quelle con chilometraggio inferiore ai 20 km. Ricordo tre secondi posti, una volta dietro a Ritter, una a Merckx e l’altra dietro ad Adorni (Tirreno-Adriatico del 1969). Un altro risultato che mi piace ricordare, piuttosto singolare, è stato quello raggiunto nel Giro di Svizzera del 1974, dove in un solo giorno si disputavano tre semitappe con classifica combinata delle ultime due. Ebbene, vinsi la tappa in linea al mattino, quella brevissima in linea nel pomeriggio e giunsi secondo (dietro allo spagnolo Aja) nella cronometro altrettanto breve; per effetto di questi risultati, vinsi anche la combinata. In pratica, vinsi tre corse in un giorno, sfiorando addirittura il poker… forse un record!». Siamo curiosi di sapere come ti definiresti e quale corridore, tra quelli degli ultimi venti anni, pensi ti assomigli di più (qui qualcuno suggerisce Bettini…) «Innanzitutto penso di essere stato un corridore piuttosto completo, perché non avevo dei veri e propri punti deboli: anche nelle cronometro corte (come ho già detto) riuscivo a disimpegnarmi bene. Per quel che riguarda il corridore… credo proprio Argentin mi assomigli più di Bettini, perché andava forte anche in pianura, mentre il Grillo ha avuto bisogno sempre di un qualche strappo; inoltre nelle salite lunghe penso fosse complessivamente inferiore a Moreno». Come mai così poche presenze alle Classiche del Nord? Non pensi che alcune sarebbero state molto adatte alle tue caratteristiche? «Intanto devo ribadire che ancora fino al 1967 i miei problemi legati all’aritmia non erano del tutto scomparsi, poi il viaggio era abbastanza lungo… in una Freccia Vallone mi dovetti fermare quattro volte! In ogni caso, per confermare che qualche possibilità l’avrei potuta avere, posso portare l’esempio del Giro delle Fiandre del 1969: avevo staccato Merckx sul Grammont, poi mi raggiunse, non volle più tirare, fummo ripresi da un gruppetto con diversi italiani, da quello evase Merckx ed io fui il solo a tirare per riprenderlo, poi alla fine venni battuto da Basso per il terzo posto (Gimondi era arrivato più avanti, secondo). Arrivai perciò quarto, ma secondo me quella fu una delle mie corse migliori ed avrei meritato di potermi battere da pari a pari con Eddy. Il Grammont comunque l’avevo già fatto al Tour: aveva un pavé bruttissimo, molto peggio di quello odierno! È vero, in teoria quelle sarebbero state proprio le mie corse. Sono tornato negli anni settanta, persino due volte alla Roubaix, ma ormai era tardi. Alla fine torna bene, come chiosa, un discorso fatto da un corridore francese ormai defunto, abbastanza famoso per aver vinto cinque Tour… (per caso di nome Jacques? ndr), che una volta ebbe a dirmi: “Tutti dicono che tra gli italiani esiste una rivalità fra Gimondi, Motta, Adorni… ma per me il migliore sei tu!”». E infatti sei uno tra i corridori italiani più vincenti di sempre, con 147 successi “ufficiali” all’attivo… Infine una curiosità: negli ultimi anni sei diventato un appassionato di bocce. Dobbiamo aspettarci un’altra lunga carriera da vincente anche in questo sport? «Intanto, sul conteggio dei miei successi ciclistici ho l’impressione che qualcosina possa essere andata persa… come saranno stati conteggiati ad esmpio i tre successi in un giorno di cui parlavamo prima?
Per quel che riguarda le bocce, già da ragazzino avevo cominciato a giocare con i compagni; negli ultimi anni poi ho scoperto la raffa e mi sono anche tesserato. Ho ottenuto buoni risultati nelle categorie amatoriali, sia in singolo (tre tornei vinti), sia nel doppio (titolo provinciale e regionale, categoria “D”,); secondo al campionato italiano di categoria, infine a giugno 2008 il colpaccio: Campione Italiano “Over 60”. Da ottobre sono passato in “C”!». Ringraziandoti per la disponibilità e la cortesia, vorremmo chiudere con una battuta… Forse abbiamo creato un precedente: non devono esserci state molte interviste in cui non ti è stato chiesto niente dei Campionati Mondiali di Gap 1972, vero? «Eh, sì… effettivamente è un po’ difficile che succeda!».
Ordine d’arrivo:
1° FRANCO BITOSSI (Zonca Santini) Km 163 in 5h05′ alla media di 39,918 kmh; 2° Gianbattista Baronchelli (Scic); 3° Joseph Borguet (Bel-Molteni); 4° Luciano Rossignoli (Sanson); 5° Bruce Biddle (Nzl-Cuneo Benotto); 6° Antoon Houbrechts (Bel-Bianchi Campagnolo); 7° Gary Clively (Magniflex Torpado); 8° Walter Riccomi (Scic); 9° Giuseppe Perletto (Magniflex-Torpado); 10° Remo Rocchia (Cuneo Benotto); 11° Alfio Vandi (Magniflex Torpado); 12° Renato Laghi (Zonca Santini); 13° Joseph Bruyère (Bel-Molteni); 14° Carlo Zoni (Brooklyn); 15° Roberto Poggiali (Sanson); 16° Armando Lora (Magniflex Torpado); 17° Wladimiro Panizza (Scic); 18° Willy De Geest (Bel- Brooklyn); 19° Bruno Vicino (Furzi Vibor) a 20″; 20° Daniele Mazziero (Furzi Vibor) a 50″. Partiti 111, arrivati 75.