Non ci fu Merckx, ma la strada del Laigueglia ’75 disse che c’era un giovane che lo poteva sostituire: Gibì Baronchelli. Il ragazzino della Scic, forse alla prima corsa in linea percorsa coi connotati della prova vera, ottenne la sua prima vittoria. E per distacco, naturalmente, perché lui sin dai dilettanti, sapeva imporsi soprattutto così. Una corsa-capolavoro, la sua: una corsa fatta di continui allunghi, senza economizzare le forze, senza nascondersi dietro la ruota di qualcun altro, per tirare il fiato. Allo start in 107. Dopo un attacco di Perletto (Magniflex) sul colle di Nava, subito neutralizzato, Baronchelli cominciò la sua lunga serie di attacchi fino a quando restò al comando in compagnia di Zilioli (Magniflex), Panizza (Brooklyn), Lora (Magniflex) e De Buyschere (Molteni). Il gruppo, staccato di un minuto, vide Gimondi guidare la caccia, Bitossi, invece pedalava in coda, si disinteressava della corsa: davanti c’era Baronchelli e “cuore matto” sapeva che il suo compagno ce l’avrebbe fatta, ne era sicuro. Ma per riuscirci, Gibì non poteva aspettare lo sprint e ad Albenga, a trenta chilometri all’arrivo, riscattò e soltanto De Buyschere riescì a riagganciarsi alla sua ruota. Il tandem fece il vuoto. A dieci chilometri dall’arrivo, in una curva in salita, De Buyschere perse dieci metri, poi cinquanta, poi mollò. Ma non era ancora finita, perché Baronchelli scivolò sulla ghiaia e finì a terra. Sanguinante e senza medicazioni, perché non c’era certo il tempo, ed il belga era vicino. Gibì rilanciò ancora l’andatura ed arrivò solo e trionfante. Una corsa mostruosa. Poi De Buyschere e De Vlaeminck che batte un gruppetto comprendente anche Bitossi e Zilioli.
Sul vincitore.
Nato a Ceresara (Mantova) il 06.09.1953. Completo. Alto m. 1,84 per kg. 75. Professionista dal 1974 al 1989, con 89 vittorie (più 2 cronostaffette). Gian Battista “Gibì” o “Tista” Baronchelli è passato, o si cerca di farlo passare, alla storia, come un incompiuto, quando in realtà, semmai, può essere considerato un corridore dal quale ci si aspettava di più. Ogni giudizio, aldilà degli errori e della sfortuna di questo comunque stupendo atleta, non può non partire dall’analisi dei tempi in cui Gibì ha corso, e dalle non poche storture e contraddizioni del ciclismo italiano di quel periodo. Le ragioni oggettive che hanno pesato in quel contesto storico si muovevano, dapprima, nell’esigenza ossessiva tipicamente italiana di trovare un indigeno in grado di mettere alle corde Eddy Merckx, poi, nello stravalutare le corse della penisola a danno di quel Tour per anni dribblato malamente dai nostri migliori ciclisti, indi, nell’esagerazione di vedere il dualismo Moser Saronni come un chiasma che, di fatto, bruciava tutto il resto, ed infine nel non considerare nel giusto merito chi giungeva secondo dietro Bernard Hinault. Se analizziamo passo su passo questi aspetti, Baronchelli, esce più cospicuo e il suo comunque ottimo palmares, assume ben altri significati. Gibì, aveva vinto nel 1973, a vent’anni, il Giro d’Italia per dilettanti e il Tour de L’Avenir, nonostante in questa corsa avesse dovuto superare una caduta che gli aveva reso un ginocchio gonfio come un melone. Quanto basta per essere atteso al professionismo con molto interesse. Nel 1974 però, il suo comportamento eccezionale nel Giro d’Italia d’esordio fra i prof, fu tale da stravolgere la ragionevolezza dell’osservatorio italiano. Si dimenticava che i 12″ secondi che alla fine separarono Baronchelli da Merckx, potevano creare eccessivo peso nella tempra di Gibì e sottovalutavano il peso della forma del belga che non superava l’80%. Già, perché se un Eddy in quelle condizioni è sempre bastato per superare Gimondi
in una grande corsa a tappe, sempre l’80% rimaneva. E che Baronchelli avesse potuto superare l’uomo di Sedrina, ci stava, semplicemente perché andare più forte di Gimondi in salita, non era impresa da marziani. Invece di covare e tutelare il ragazzino, certo pieno di qualità, gli si buttò addosso l’attesa di una nazione. Arrivò poi il ’75 e l’esordio vincente di Gibì a Laugueglia, confermato da un successo di tappa al Giro di Sardegna, diede ulteriore fiato alle trombe in vista del Giro d’Italia. Qui però, Baronchelli, contrasse una malattia virale che ne limitò il rendimento in corsa e che forse non fu mai completamente superata. La sottovalutazione del fatto da parte di un osservatorio che vedeva quel Giro disegnato per lui, pose Gibì (che finì la corsa rosa al decimo posto), già sull’alone di una certa delusione. Nel frattempo, il comportamento di Francesco Moser al Tour di quell’anno, dove fu maglia gialla nelle frazioni di pianura per poi essere seppellito di minuti in salita, portò l’osservatorio a incentrare sul trentino attese esagerate su corse, come quelle a tappe, dove, checché se ne dicesse, difficilmente poteva essere un evidente. E fu così che il Giro d’Italia, cominciò a proporre percorsi che per troppi anni incrinarono la tradizione di manifestazione legittimamente equilibrata. L’edizione della corsa rosa del ’76, una delle più scarse della storia, quasi tutta vissuta sul rallentatore, con anziani in evidente declino e giovani poco adatti all’attacco o di scarsa personalità, provocò un verdetto che il nostro Gibì pagò a lungo. Vinse il vecchio Gimondi, Moser arrivò 4° e Baronchelli solo quinto. Poco importava se non stava bene: era ormai un normale per quell’osservatorio che stava ingigantendo Moser su corse le cui qualità erano contrarie a quelle che dimostrava nelle classiche e che esaltava a dismisura un vecchio come Gimondi, che aveva vinto senza brillare come del resto tutti gli altri. Gibì poi, fece un errore grave: andò al Tour senza condizione e concentrazione uscendone distrutto e ritirato, fino al punto di considerare, in cuor suo, la Grande Boucle come una manifestazione da evitare. E ciò fu disastroso per la sua carriera limitatamente alle corse a tappe. Nel ’77, in un Giro che si distingueva per il suo “piattume” e per il tanto crono, Gibì si difese bene, vinse il tappone di Pinzolo, ma non poté evitare di finire terzo, dietro a Pollentier e, ancora, Moser: un fatto capitale nella già poca lucidità dell’osservatorio. Dietro l’angolo, c’era proprio nella sua medesima squadra, il piccolo fenomeno Saronni e poco importava se, in quel ’77, Baronchelli aveva vinto, fra le diverse corse, il Giro dell’Appennino (una gara vinta sempre da campioni), il Giro di Romandia e, soprattutto, alla grande, il Giro di Lombardia, grazie ad un arrivo solitario e dopo aver seppellito di minuti il miglior cast del ciclismo mondiale. Col ’78 si alzarono i sipari del dualismo Moser-Saronni e Gibì, pur vincendo 11 corse, tra le quali una sfilza di classiche nazionali come il Giro dell’Appennino (la sua corsa), il Giro del Piemonte, la Coppa Placci, il Giro dell’Umbria, facendo cilecca al Giro d’Italia, si giocò le residue speranze, in chiave nazionale, per la giusta considerazione dei suoi mezzi. Certo, a Milano giunse secondo a 59″ dalla maglia rosa De Muynck e vinse la difficile tappa di Canazei, ma
quel Giro, pur considerando che qualcuno doveva riparare verso il belga la scorrettezza di un attacco dopo una caduta che gli costò la corsa rosa di due anni prima (frazione di Bergamo), doveva essere suo. Altro errore, che ripeteva il già fatto nel ’77 e che poi rappresentò una costante, fu quello di non andare al Tour. Col ’79, stagione per Gibì davvero tribolata per acciacchi vari (ciononostante colse diversi traguardi compreso nuovamente l’Appennino e il Giro di Romagna) esplose il dualismo fra Moser e Saronni e per gli altri, in Italia, fu notte fonda. Baronchelli, tra l’altro, cominciò a dover pagare sulle strade l’ostracismo dei tifosi di Moser (i più calcistici mai visti sulle strade) che non disdegnavano di seppellirlo di insulti e di ….tutto il resto del corredo calciofilo. La stessa cosa capitò a Visentini poco dopo e, mi si permetta, considero queste idiote escandescenze, come un segmento tra i più tristi che abbia vissuto o letto nello sport. Nel 1980, quando il mondo fu costretto a sancire lo spessore di un similare di Merckx, nelle vestigia del francese Bernard Hinault, Baronchelli fu il primo degli umani. Non solo perché nella gara crogiolo dell’anno, una volta tanto coincidente col campionato mondiale, in quel di Sallanches, fu l’ultimo a piegarsi al marziano bretone, ma per le vittorie raccolte nell’anno: ben ventuno, fra le quali l’Henninger Turm, il Giro dell’Appennino, il Giro della Provincia di Reggio Calabria, il Giro dell’Emilia, la Coppa Sabatini, il Giro del Piemonte, il GP di Montelupo, la tappa di Campotenese al Giro (dove finì 5°), una tappa del Giro del Trentino ed una di quello di Puglia. Insomma quanto bastava per essere qualcosa di più nella considerazione tutta per gente come Moser e Saronni che, ai mondiali di Sallanches, quando Hinault decise di fare sul serio, non poterono far altro che andare in albergo a farsi una doccia. Ed il mondiale, Gibì, lo avrebbe vinto l’anno dopo a Praga, se gli italiani in una delle giornate
più nere dell’era Martini, non avessero inseguito con veemenza il duo Millar-Baronchelli, con l’azzurro sicuro vincente allo sprint. Furono ripresi a seicento metri dall’arrivo e Gibì, che nella fuga non aveva tirato per rispettare le consegne, fece il suo lavoro nello sprint decisivo a favore di Saronni, per poi prendersi gli improperi dei soliti imprecisi, per aver lasciato al vento troppo presto il Beppe nazionale. In realtà, quando Baronchelli si spostò, dietro ci doveva essere Moser per completare il lavoro per Saronni….. ma i due dovevano essere immuni da critiche. La lapidazione del “Tista” per quel mondiale sfumato, da parte dei tifosi saronniani, rappresenta un’altra pagina triste di quel periodo del nostro ciclismo. Nel 1981, le sue belle corse per dimostrarsi iridato degno, Gibì, come al solito, le aveva vinte. Solo per citarne alcune: il Giro del Lazio, il Giro dell’Appennino, il Giro di Toscana e la dura tappa di Cascia al Giro d’Italia (chiuso al 10° posto). Anche nel 1982, il suo ruolino fu positivo grazie a nove successi fra i quali il GP Industria e Commercio, il Giro dell’Umbria e il suo siamese Giro dell’Appennino. Non vinse tappe al Giro d’Italia, dove si piazzò al quinto posto. Col 1983, iniziò la lenta flessione del “Tista”: solo due successi in gare di secondo piano. Idem l’anno
successivo, ma stavolta nell’ambo di vittorie ci stava il Giro di Toscana. Nel 1985 provò la Vuelta di Spagna e prima di abbandonare per un’indisposizione, vinse la tappa di Santiago. Tornò a ruggire nella stagione ’86, quando a Nicotera, rivinse una tappa del Giro d’Italia (si ritirò poi qualche giorno dopo) e, soprattutto, trionfò nuovamente in una classica monumento, come il Giro di Lombardia. Nell’occasione, fu ancora capace di staccare tutti. Anche nel 1987, il suo spunto in salita, ebbe modo di farsi vedere: vinse infatti la Cronoscalata del Ghisallo, valevole per il Trofeo dello Scalatore. Passò ancora due anni fra i professionisti prima di abbandonare l’attività e vinse ancora gare minori. Lasciò i giudizi dell’osservatorio a fine ’89. Campione mancato? Direi proprio di no, perché campione lo è stato eccome, viste le 94 vittorie, i piazzamenti di prestigio e, soprattutto, il modo di giungere al successo. Poteva essere più grande? Per quanti si può dire la stessa cosa nella storia del ciclismo? Tanti! Per me, che non sono mai stato suo tifoso, “Tista” Baronchelli è la figura italiana più bella del segmento del ciclismo che mi è piaciuto di meno, nonché l’uomo di quell’epoca che più mi ha ricordato i valori dei decenni precedenti.
Ordine d’arrivo:
1° GIANBATTISTA BARONCHELLI (Scic) Km 173 in 4h26′ alla media di 39,400 kmh; 2° Christian De Buysschere (Bel-Molteni) a 58″; 3° Roger De Vlaeminck (Bel-Brooklyn) a 1’37”; 4° Franco Bitossi (Scic); 5° Aldo Parecchini (Brooklyn); 6° Roland Salm (Zonca Santini); 7° Antoon Houbrechts (Bel-Bianchi Campagnolo); 8° Italo Zilioli (Magniflex Torpado); 9° Giuseppe Perletto (Magniflex Torpado); 10° Willy De Geest (Bel-Brooklyn); 11° Marino Basso (Magniflex Torpado) a 1’45”; 12° Luciano Borgognoni (Zonca Santini); 13° Alfredo Chinetti (Furzi F.T.); 14° Jean-Pierre Berckmans (Bel-Molteni); 15° Frans Verbeeck (Bel-Maes Pils Watney); 16° Marcello Bergamo (Jollj Ceramica); 17° Ludo Delcroix (Bel-Molteni); 18° Jozef Huysmans (Bel-Molteni); 19° Alessio Antonini (Jollj Ceramica); 20° Gianni Di Lorenzo (Magniflex Torpado). Seguono altri. Partiti 107, arrivati 70.