Che l’inverno potesse essere un’insidia per una gara con simile collocazione nel calendario era stato messo in conto fin dagli inizi. Ma nell’edizione del 1970, le preoccupazioni raggiunsero l’apice. Gli organizzatori furono eccezionali nel presentare la corsa si strade praticabili e, comunque, pericolose all’interno della fascia di tolleranza, ma la corsa col freddo e le insidie ne risentì, ed infatti Tommaso De Pra (Salvarani) cadde e fu ricoverato all’ospedale con un trauma cranico e sospetta commozione celebrale. Ciononostante i 119 partenti, onorarono il duro mestiere, anche se lo vissero a lungo all’insegna del “pedalare insieme”. La corsa visse gran parte sulla fuga di un drappello di sei uomini. Battistrada che si chiamavano: Pierino Primavera (Scic) il famoso Franco Balmamion (Salvarani), Arturo Pecchielan (Molteni), Francesco Desaymonet (Faemino), il belga Willy Monty (Faemino) e lo svedese Erik Pettersson (Ferretti). Costoro furono raggiunti solo nel finale e sul traguardo di Laigueglia si poté assistere a quel volatone che era una novità per l’ormai clasdsica d’apertura laiguegliese. Qui, Michele Dancelli, abilmente condotto dai compagni della Molteni, ed in gran forma (vincerà poi un mese dopo una storica “Sanremo”), svettò su tutti.
Sul vincitore. (di Mario Silvano)
Si è scritto che cercava nel ciclismo un riscatto dalle sue origini sociali: lui stesso ha dichiarato che, tra i dilettanti, si divideva tra gli allenamenti ed il duro lavoro di muratore. Si fa subito notare, all’inizio della carriera. Passa professionista alla fine del 1963, dopo aver vinto il titolo di campione nazionale tra i dilettanti, e conclude al terzo posto il Giro di Lombardia: non male per un debuttante. Nel 1964 vince la sua prima corsa nel circuito di Col San Martino e, al debutto al Giro d’Italia, ottiene una bell’affermazione nella tappa di Brescia, indossando la maglia rosa. Dopo essersi imposto nel Giro d’Abruzzo e nel G.P. Industria e Commercio di Prato, conclude la stagione aggiudicandosi la Torino-Castellania, altrimenti conosciuta come la Corsa di Coppi. Nel 1965 si pone alla definitiva attenzione degli appassionati con un’annata ricca di successi, tra i quali spiccano, oltre al Campionato Italiano, due tappe al Giro, il G.P. di Montelupo e, nel mese d’agosto, tre successi in altrettante classiche del calendario nazionale: G.P.Industria e Commercio di Prato, Giro dell’Appennino e Coppa Placci. Senza contare il Giro del Veneto ed il Giro di Campania. Altra annata d’oro è il 1966: dopo una vittoria di tappa alla Parigi-Nizza, rischia di vincere la Sanremo, arrivando sesto in una volata che vede il successo di Merckx. Comincia bene quell’anno e Michele lo dimostra nelle classiche del Nord. Dopo aver trionfato nel Giro della Provincia di Reggio Calabria, alla Parigi-Roubaix è l’ultimo a cedere a Felice Gimondi: una stupenda
foto li ritrae sul pavé, entrambi ricoperti di fango. Non si fa attendere il sigillo del bresciano: trionfa nella Freccia Vallone, davanti ad Aimar, il futuro vincitore del Tour, ed a Rudy Altig, ed è sesto alla Liegi. Una sola tappa nella corsa rosa, ma il suo finale di stagione è straordinario. Nel mese di settembre, infatti si aggiudica per la seconda volta consecutiva il Giro dell’Appennino, trionfa nel Giro del Lazio (conquistando la sua seconda maglia tricolore) e bissa il successo nel Giro del Veneto. La vittoria all’Appennino merita una menzione particolare, perché lo stesso Michele la considera la sua vittoria più bella: fuga di 215 chilometri, di cui un centinaio percorsi in solitudine. Nel 1967 passa alla Vittadello, continuando a mietere successi nelle corse di un giorno: ancora a Reggio Calabria e ancora a Prato. In una settimana, dall’1 al 7 ottobre, si aggiudica nell’ordine il Giro dell’Appennino, il Giro dell’Emilia e la Coppa Sabatini, e il 14 dello stesso mese si aggiudica nuovamente la corsa di Coppi. Le vittorie, oltre a numerosi piazzamenti, gli valgono la conquista del San Silvestro d’oro. L’anno successivo passa alla Pepsi-Cola, diretto da Gino Bartali. Vince a Laigueglia e disputa un bel Giro d’Italia, indossando la maglia rosa per 9 giorni. Nella giornata del mondiale di Adorni completa il successo azzurro con la conquista del terzo posto. Vince anche la Parigi-Lussemburgo, corsa a tappe di 4 giorni. Il 1969, con la casacca della Molteni, lo vede protagonista al Tour: una vittoria di tappa e 20° posto nella classifica generale, ma troppo spesso si dimentica che, nella tappa pirenaica vinta da Merckx, Michele arriva secondo ed avrebbe potuto anche restare con il Cannibale, se non avesse dovuto sacrificarsi per un suo compagno di squadra. Forse è per questa corsa che Eddy ne riconobbe il valore assoluto. E’ terzo al mondiale di Zolder, dopo una fuga che avrebbe meritato miglior fortuna. Aveva già un ottimo palmarès, Michele, costellato non solo di significative vittorie, ma anche di piazzamenti importanti nelle corse di un giorno. Deve attendere la vittoria alla Milano Sanremo per ottenere un posto nella storia del ciclismo. Il 19 marzo 1970, dopo il trionfo nella corsa del sole (ottenuta grazie ad una fuga solitaria di 70 chilometri), in lacrime sul palco, intervistato da Nando Martellini si lascia andare ad uno sfogo: ”sono contento particolarmente perché…non mi hanno mai calcolato un campione”. Quella vittoria , oltre a smentire i più scettici, lo proietta verso il suo miglior Giro d’Italia, concluso al quarto posto, con quattro successi di tappa ( splendida la vittoria sulla Marmolada) ed il secondo posto (per pochissimo!) nella classifica a punti, battuto da Franco Bitossi dopo duelli spettacolari. Una vittoria in volata su Zilioli nel Giro del Lazio del centenario di Roma capitale conclude quella bell’annata. All’inizio del 1971, una brutta caduta durante una tappa della Tirreno-Adriatico gli provoca la frattura del femore: da quel giorno Dancelli non è più lui. Ci sono, è vero, altre vittorie ed altri piazzamenti in maglia Scic, ma il corsaro ha smarrito lo spunto di un tempo. Mai domo, cerca ancora di lasciare il segno. E’ terzo al Giro della Svizzera del 1972, dove vince anche la classifica a punti, ed è sesto al mondiale di Gap. Al Giro dell’Appennino del 1972, prova unica per l’assegnazione del titolo di campione d’Italia, si lancia nella discesa dei Giovi, in un tentativo di acciuffare il quarto successo nella corsa della Bocchetta e di indossare per la terza volta la maglia tricolore. Viene raggiunto, e deve accontentarsi del terzo posto, dopo Gimondi e Bitossi. Dopo un’altra annata senza particolari acuti, conclude la carriera nel 1974.
Il “mio” Dancelli (di Mario Silvano) Se il ciclismo è fatto di emozioni, con Michele ne ho vissute tante. E’ stato il primo ciclista per cui ho fatto il tifo, contagiato probabilmente da mio padre, che ne apprezzava lo spirito battagliero. “Nei primi dieci, Dancelli c’è sempre”, mi diceva. Forse non era del tutto vero, ma è certo che se si scorrono gli ordini d’arrivo di quegli anni , Dancelli compare con una frequenza impressionante. Fu al Giro dell’Appennino che lo vidi per la prima volta. Era il primo ottobre del 1967: una giornata piovosa, nebbia sulla Bocchetta. Attendemmo il passaggio in località Baracche, un breve falsopiano prima degli ultimi tornanti. Ricordo che, nell’attesa della corsa, i miei conversavano con una coppia di Nizza Monferrato: la signora era tifosissima di Gimondi ed era certa che Felice avrebbe trionfato. La sua insistenza m’infastidiva, anche perché sminuiva il valore di Dancelli, difeso a spada tratta da mio padre. Mi sembra di rivedere Michele sbucare dalla nebbia, seguito da Gimondi, ed è un ricordo vivissimo. Furono subito inghiottiti dalla foschia, che impediva di vedere le ultime rampe della salita. “Ha visto Gimondi!”, disse la signora, certa del successo del suo idolo. Ritornammo verso Pontedecimo, nella speranza di assistere alla fase finale della corsa. Purtroppo la Bianchina “panoramica” di mio padre non riuscì ad arrivare in tempo. A Pontedecimo la strada era chiusa, perché i primi erano già passati. Ci fermammo di fronte al vecchio dazio e chiedemmo subito di Dancelli.
“Ehhh, Dancelli l’è pe cuscì cu l’è passou… u primmu!” Non mi pareva vero! Aveva vinto di nuovo Michele!” Ben gli sta”, pensai della signora di Nizza. E persino la Bianchina, quella sera, mi parve più bella. Alla Sanremo lo aspettavamo sempre tra i protagonisti. Il 19 marzo del 1970, contrariamente alle abitudini, mio padre ed io ci appostammo in una curva nella discesa del Turchino. “Qui li vediamo meglio”, mi disse, “perché frenano!” Come contraddirlo? Avrei preferito andare in cima alla salita, dove due anni prima avevo visto Merckx in maglia iridata, ma non osavo chiederlo. La giornata era bellissima, come sanno esserlo solo certe giornate liguri di inizio primavera: sole pieno, aria frizzante, persino un po’ di neve sui prati. Nell’attesa le solite discussioni di ciclismo, alle quali mio padre non si sottraeva. “Coppi era quasi mio compaesano, ma io preferivo Bartali: arrivava sempre” .”Ma non si ricorda di quando Coppi staccò tutti nella Sanremo del 1946?” Tra un batti e ribatti , arrivava il momento più emozionante: il silenzio che precede il passaggio dei corridori. Quegli attimi erano magici e, per me, lo sono rimasti a distanza di tanti anni. Passarono le staffette e, non ricordo come (forse la radio?), arrivò la notizia che in fuga c’era un drappello di fuggitivi: tra questi Dancelli. Mi emozionai, sperando di riuscire a vederlo bene. I corridori, in fila indiana, impostarono la curva. “Michele!!!!!” urlai a squarciagola mentre, vicinissimo, tagliava la curva. Era concentrato e masticava un chewing-gum. Poi la corsa verso casa e l’attesa della diretta televisiva. La sigla dell’Eurovisione e la notizia più bella: Dancelli era solo al comando! “Non lo prendono più, non lo prendono più!” dissi, mentre saliva sul Poggio. Poi, finalmente, via Roma, il trionfo, e le sue lacrime furono le mie. Neppure mi scalfì il commento caustico di mia zia (“lo hanno lasciato vincere, è vecchio!”): che fosse anche lei tifosa di Gimondi? Nulla mi importava, io pensavo al mio eroe.
Che giornata, quel 19 marzo: Dancelli primo a Sanremo! Ho sempre pensato che il mio grido di incoraggiamento lo avesse sospinto verso la città dei fiori….. Negli anni sessanta la diretta televisiva non era un fatto scontato. Non erano rare le prolungate attese: sullo schermo il famoso monoscopio della Rai e musica di sottofondo intervallata, di tanto in tanto, dalla voce di una gentile signorina che ripeteva: ”Siamo in attesa di collegarci con… per trasmettere in diretta le fasi finali e l’arrivo della tappa…E rivedo Michele in certe tappe del Giro del ‘68 su strade sterrate (tappa del lago di Caldonazzo) nella difesa caparbia della maglia rosa, le cronometro che lo respingevano, le volate appassionanti, il trionfo alla Marmolada nel 70, la delusione per una sconfitta nella sua Brescia. Eccolo alla tappa al Tour ed al mondiale di Zolder: una fuga iniziata troppo presto, un terzo posto
che era quasi una beffa, le critiche di alcuni azzurri per la sua condotta di gara. E ancora: la fuga ed il trionfo di Sanremo, i Laigueglia e le classiche in linea, i successi ed i piazzamenti, gli inseguimenti rabbiosi, la sconfitta ad opera di Panizza nel Giro di Romagna del 73. E poi una telecronaca che non dimenticherò mai: quella del Giro dell’Appennino del 72. Sabato 24 giugno, San Giovanni Battista, Patrono di Genova. Avevo appena finito gli esami di terza media. Solo l’attesa del promesso motorino (avrei compiuto 14 anni dopo pochi giorni) rendeva meno amara l’impossibilità di essere sul percorso. Per fortuna c’erano le telecamere mobili, entrate in funzione nell’ultimo tratto della Bocchetta. Tra il gruppetto dei fuggitivi, neanche a dirlo, il “corsaro”. In cima ai Giovi parte all’attacco, lanciandosi da solo nella discesa verso Mignanego, in un ultimo, disperato tentativo di dimostrare a tutti di essere ancora il Dancelli degli anni migliori. Luciano Armani, intervistato da De Zan, spera nel buon esito della sortita. Non è così: Dancelli viene ripreso e Gimondi, approfittando di un attimo di incertezza, parte al contrattacco, arrivando da solo in piazza Arimondi. Michele è terzo, battuto da Bitossi nella volata dei piazzati. Quel giorno, capii che Michele non sarebbe più stato il corridore che avevo conosciuto, e che un epoca si stava chiudendo. Il tempo è passato ma io, pur sulla soglia dei cinquant’anni, quando penso a Michele Dancelli mi emoziono sempre. In ogni foto o filmato di quegli anni i miei occhi “corrono” a cercare il “mio” campione. Me lo sono chiesto più volte: perché sempre e ancora Dancelli? Perché Dancelli è la mia “recherche” : la figurina della raccolta “I campioni dello sport”, i friscieu di San Giuseppe, l’odore dei glicini in fiore , i giochi al Castello d’Albertis, le corse in bici a Montaldeo e le ginocchia sbucciate, il mare di Vesima e la focaccia di Voltri, il salame di Sant’Olcese sulla Bocchetta, le sfide a cirulla con mio nonno e tanti, tanti altri
ricordi di un’età lontana….
1° Michele DANCELLI (Molteni) Km 160 in 4h02’09” alla media di 39,644 kmh; 2° Cyrille Guimard (Fra-Fagor Mercier) 3° Emilio Casalini (Scic); 4° Ole Ritter (Den-Germanvox Wega); 5° Davide Boifava (Molteni); 6° Luciano Armani (Scic); 7° Gerben Karstens (Ned-Peugeot BP); 8° Italo Zilioli (Faemino); 9° Victor Van Schil (Bel-Faemino); 10° Carlo Brunetti (Civitanova Marche); 11° Joseph Spruyt (Bel-Faemino); 12° Gosta Petterson (Swe-Ferretti); 13° Jozef Huysmans (Bel-Faemino); 14° Giancarlo Polidori (Scic); 15° Oliviero Morotti (Sagit); 16° Derek Harrison (Gbr-Fagor Mercier), seguono, sempre al 16° posto: Franco Mori (Molteni); Loris Vignolini (Ferretti); Mino Denti (Scic); Etienne Antheunis (Bel- Faemino), seguono altri di questo gruppo e altri a distacchi maggiori. Partiti 119, arrivati 77.
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