Fra i 93 partenti fecero il loro ingresso gli stranieri, in massa, e fortissimi. Allo start, infatti, il francese Jacques Anquetil (Ford Gitane), che veniva dalla doppietta Giro-Tour, dell’anno precedente, che venne in Liguria con compagni di squadra fortissimi come Graczyk, Lebaube, l’ex iridato dei dilettanti Jourden e l’irlandese Elliott, indi Poulidor (Mercier), ovvero il più amato in terra transalpina e già vincitore della “Sanremo”, nonché i belgi, con l’ex iridato Beheyt (Groene Leuw) ed il coiquipier Gilbert Desmet, e la Flandria coi vari Reybroeck, Bocklandt, Molenaers e Planckaert Tra gli altri stranieri pure corridori di valore come l’olandese Zilverberg e lo svizzero Maurer. La La gara visse i suoi momenti cardine nel terzo passaggio sul Testico, dove un’iniziativa dell’olimpionico Toni Bailetti (Carpano), creò una forte selezione che portò in avanscoperta un drappello di dodici uomini, fra i quali però, non faceva parte l’iniziatore, a cui si aggiunsero in discesa un altro olimpionico, il milanese Marino Vigna e il piemontese Giorgio Zancanaro. Il drappello dei 14, andò al traguardo. A mezzo chilometro dal termine Anquetil cerco di anticipale i più veloci, ma sbagliò i tempi dell’affondo e si piantò a 150 metri dalla linea. L’acuto vincente, invece, fu di Marino Vigna (Ignis), che anticipò con discreto margine il piemontese Galbo della neonata Sanson.
Sul vincitore.
Nato a Milano il 6 novembre 1938 passista veloce, alto 1,80 per 71 kg. Professionista dal 1961 al 1967 con 8 vittorie. Ai suoi tempi era davvero una rarità: quando lo si ascoltava in Tv, sembrava uno finito nel ciclismo per caso, tale era la sua capacità di esprimersi con dizione e lessico perfetti. Sembrava un intellettuale, niente a che vedere col metro d’un ambiente che veniva definito quello del “ciao mama son contento di essere arrivato uno”. Ed era così evidente, che anche la mia maestra, ligia a combattere su ogni poro per l’affermazione della lingua italiana, in una Romagna dove il dialetto imperava, mi faceva notare ogni volta quel distinguo, aggiungendo: “Caro Maurizietto, se i corridori fossero come Vigna, che pare il maestro Manzi del ciclismo, questo sport sarebbe da proporre ai bambini”. Che tempi! Marino, dunque, era un ciclista atipico, anche nella gentilezza e correttezza, pur essendo un velocista. Ma era pure bravo, non certamente un super, bensì un buon corridore che ha saputo raccogliere forse meno di quel che valeva, per il suo essere così a modo. Nato nelle vicinanze del Vigorelli, la pista tempio (che tonfo vergognoso per Milano e la spesso presuntuosa Lombardia, quel pressapochismo che ha leso immagine e sostanza di quel monumento!), Vigna crebbe ciclisticamente acquisendo tutti quei cromosomi che la scienza del ciclismo che si distribuisce sugli anelli, dona: colpo di pedale, destrezza, capacità di scelta negli affondi e grande scioltezza. Divenne ben presto un fulcro del movimento giovanile e dilettantistico italiano, sia su pista che su strada. Sui velodromi, vinse il Tricolore allievi nella corsa a punti nel 1956 per poi divenire un gigante nella specialità dell’inseguimento a squadre, dove le sue qualità
di passo e di velocità emergevano copiose: vinse due volte il Titolo Tricolore nel 1958 e nel 1960. Divenuto un punto fermo del quartetto d’inseguimento azzurro, vinse la Medaglia d’Oro alle Olimpiadi di Roma, assieme ad Arienti, Testa e Vallotto, nel gran tempo di 4’30″9: una performance per le bici e le conoscenze di quei tempi, davvero incredibile. Su strada, nella favolosa annata olimpica, conquistò fra gli altri successi, due classicissime della categoria, quali la Milano Tortona e la Coppa d’Inverno. Indi, assieme assieme a Fezzardi, s’impose nel Trofeo Baracchi, ottenendo un tempo migliore di quello di Ronchini-Venturelli, vittoriosi tra i professionisti. Nel 1961, passò fra i professionisti nella fortissima “Philco”, ma i suoi risultati stentarono a decollare: solo nel ’62 si segnalò col secondo posto nel Trofeo Moschini ed il 4° nella Milano Torino. Nel ’63 passò alla Legnano dell’Avocatt Eberardo Pavesi e raggiunse la ribalta conquistando la tappa di Cremona al Giro d’Italia ed i Circuiti di Villafranca ed ancora di Cremona. Nel 1964, finì in Gazzola e fu una buonissima annata: fece sua la Tre Valli Varesine, la tappa di Losanna al Giro di Romandia e il Gran Premio Camucia. Buon anche taluni piazzamenti: 5° nel Giro del Lazio e 7° nel Tricolore. Ancora un cambio di squadra nel ’65, con l’approdo all’Ignis del Commendator Borghi. Un’ottima annata con la vittoria nel Trofeo Laigueglia e bei piazzamenti: 2° nella Milano Torino, 5° nel Giro dell’Emilia, 12° nella “Sanremo” ed il primo Giro d’Italia concluso (73°). Nel 1966, arrivò alla sua ultima equipe professionistica, la Vittadello. Vinse nel 1966 quella Milano-Torino che gli era sfuggita un paio di volte, fu 2° nel GP di Camaiore e chiuse 60° il Giro d’Italia, Nel ’67 solo piazzamenti: 4° nel “Campania”, 9° nel “fedele” Milano Torino, 11° nella Milano Sanremo, 12° nel Giro di Lombardia e 63° nella Vuelta di Spagna. A fine anno lasciò il ciclismo pedalato per salire in ammiraglia della “grande” Faema di Merckx e Adorni. Passo poi a mettere a disposizione le sue doti di intelligenza e di abilità tecnica, nel ruolo di Commissario Tecnico della pista, indi come Presidente della Commissione Tecnica della Lega e di Consigliere in seno all’Associazione Corridori Professionisti. Divenne poi uomo immagine della Bianchi, con l’incarico di seguire i sodalizi ciclistici sponsorizzati da quella grande casa ciclistica. Senza dimenticare mai l’amore verso quel Vigorelli che, negli ultimi anni è stato solo un’occasione di ritrovo per lui e per tanti grandi ex azzurri, fra i quali l’indimenticabile “cittì” del calcio, Enzo Bearzot.